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Un altro importante tassello che il governo Meloni sta mettendo a punto attiene la riforma dell’ordinamento regionale.

Un primo “sì” è già stato dato dal Senato.

 

Che cosa significa, in buona sostanza, il concetto di “Autonomia differenziata”?

 

Un vecchio sistema di regolazione della vita regionale, incerto da almeno mezzo secolo, andrà in pensione e sarà sostituito da un modello istituzionale più moderno ed efficiente, legato ai tempi che viviamo.

 

Con circa 400 (quattrocento) emendamenti l’opposizione di sinistra rischia di perdere il contatto con un mondo che la vede pure da molte parti un protagonista attivo di governo.

Perché dire in sostanza che… “non va bene niente” ti sottopone al rischio dei voti di fiducia che non fanno mai ragionare insieme per il bene dell’Italia.

Qualcuno avrà pure il dovere di proporre qualcosa, perdiana, sennò non cambierà mai nulla.

Dire “no” su tutto, a prescindere, non è mai stato un buon metodo di fare politica.

 

La proposta del governo vuole dare alle Regioni delle nuove competenze con riferimento ad ambiti ulteriori rispetto agli attuali.

 

Davanti va posto subito un punto fermo: non ci saranno discriminazioni tra le Regioni, perché tutti i cittadini contribuenti avranno un minimo di servizi (i LEP) garantiti per ciascuno.

 

I Livelli Essenziali di Prestazioni, a guardar bene, sono la vera novità di questa riforma.

 

Regione per Regione saranno modellati quei servizi di cui le popolazioni hanno un bisogno essenziale e di essi si farà carico lo Stato, a prescindere dal fatto che vengano erogati in Lombardia o nel Molise.

Quelli sono e quelli gli italiani avranno sempre garantiti.

 

La sanità o l’assistenza agli anziani (per fare due esempi) sono dei precisi doveri a cui lo Stato provvederà in maniera equa per mezzo delle Regioni interessate.

 

Poi andranno definite più puntualmente le ulteriori competenze rispetto a quelle già affidate dal Dpr n.616/77. Stabilendo una procedura altamente condivisibile.

 

In primo luogo saranno definite, Ministero per Ministero, le provviste economiche atte a sostenere i nuovi ambiti di competenza locale.

 

Al Presidente del consiglio in carica spetterà il compito di delineare, volta per volta e Regione per Regione, il campo su cui disputare la partita di nuove deleghe.

Affinché non ci siano degli arretramenti operativi rispetto al passato.

Ogni Regione potrà prendere parte, caso per caso, al Consiglio dei Ministri che deciderà del suo futuro.

 

Il tutto sarà “vistato” dalla Conferenza Stato Regioni e sarà sottoposto all’esame di quel Consiglio Regionale.

 

Spetterà a quest’ultimo approvare lo Schema d’intesa definitivo. Che sarà, infine, trasmesso al Consiglio dei Ministri per l’ok finale.

 

Che dire?

 

È importante che le Regioni siano state riconosciute appieno nel loro ruolo di Istituzione di fatto paritaria allo Stato.

 

Un compito che non era mai stato così certo, soprattutto nei decenni passati: un comportamento costruttivo, ‘stavolta, ha ispirato la burocrazia di Stato.

Era ora.

 

Cambiano i tempi?

Ditelo al PD.

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