CHE FARE PERCHÉ L’EU NON SIA ANTI-EUROPEA

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Nel 2001, con l’affermazione della propria sovranità monetaria, l’ottimismo pervase l’Europa.

Essa “è un modello di integrazione regionale per tutto il mondo” declamava
-con toni entusiastici- il Libro Bianco sulla “governance” della CE.

Poi, a cominciare dalla Brexit e proseguendo con una crescente  anarchia tra gli Stati (“io faccio per me, tu per te”), l’Europa rischia seriamente di rivelarsi solo come un guscio vuoto: solo monetario -e non è poco, precisiamolo subito- e null’altro.

A cominciare dalla carenza di una comune forza difensiva “nei” (non solo “dei”) confini; proseguendo con la inesistenza di una politica commerciale UE; fino alla totale inesistenza di politiche agricole, industriali e sociali, comuni il processo di integrazione tra i popoli è ora in un punto di stallo.

Vieppiù pericoloso perché oltre a digerire regole soffocanti -anche da un punto di vista ambientale, ma non solo- va del tutto prospettando un disegno “imperiale” preoccupante.

Parte tutto dall’idea di allargare sempre di più l’Unione: troppo frettolosamente,  consentendo che facciano parte di essa dei popoli con culture ed educazioni civiche tutt’affatto diverse (e badate, non parliamo solo di religioni ché non sono proprio la principale discriminante temporale) e ciò  rischia di essere seriamente il “non senso” unitario.

Le prossime elezioni potrebbero pure segnare il punto di svolta.
Ma non è detto lo saranno.

Occorrerebbe reimmaginare i modi per incentivare la pacifica e amichevole cooperazione dentro la CE; andrebbero rimodulate dal fondo politiche comunitarie alla luce di un nuovo -perché fondato più su di un sano pragmatismo- realismo con gli altri (USA e Cina in testa,ndr), in special modo sulle politiche produttive e commerciali.

Coniugando ideali e pragmatismi, fantasia e realismo, voleri teorici e situazioni pratiche.

Perché la praticabibile integrazione non potrà derivare solo dallo “svuotamento” legale delle identità nazionali, così come non potrà perpetuarsi quella pratica sottomissione alla tecnocrazia centralizzata che …vieta, vieta, vieta: dalla mobilità alle produzioni; dagli stili di vita ai comportamenti giornalieri; dalle produzioni agricole a quelle industriali.

Mentre gli altri continuano a soffocarci di CO2 e con beni commestibili di dubbia certificazione.

In una parola l’integrazione non potrà significare solo “svuotamento” delle nostre identità, ma essere una sorta di bene aggiuntivo al nostro IO.

Solo così avrà ancora senso quel “Concerto di Nazioni” che fu messo alla base della grande Utopia europea.

Occorrerà far fare un bel cambio di passo alla UE: scendendo dalle stelle e andando verso la soluzione dei nostri problemi più quotidiani.

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