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La riforma delle autonomie regionali potrebbe essere il terreno minato su cui verificare la pratica distanza (un ennesimo incidente di percorso? Ndr) questa volta tra LegaSalvini e FdIMeloni.

 

È un fatto ormai acquisito la promessa d’onore fatta dal Ministro Roberto Calderoli di portare in CdM -entro fine anno- la propria proposta di riforma regionale.

 

Nella Conferenza Stato-Regioni essa ha già sollevato motivate critiche da parte di molti Governatori: tanto a destra quanto sinistra.

 

È soprattutto l’approccio mentale con cui il ministro leghista ha impostato la riforma che viene giustamente contestato.

 

Infatti il Nostro avrebbe semplicemente fotografato la situazione esistente, non formulando alcuna ipotesi correttiva, modificativa di uno stato ingiusto: perché altamente squilibrato tra nord e sud.

 

Compito politico di un governo serio e vitale dovrebbe essere quello di agire: intervenendo per correggerli gli squilibri, non di certificarli e basta.

 

I LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni, ndr) sono stati appunto inventati, studiati e inverati, per garantire a tutti i contribuenti

-dal Nord al Sud- analoghe opportunità e servizi minimi.

Del resto non ci sono 21 aliquote fiscali, differenziate Regione per Regione.

Questo è il punto.

 

Non è una buona politica quella che certifica semplicemente le diversità e non fa nulla per correggerle, al servizio di eguali fasce di contribuenti.

 

La proposta Calderoli, invece, darebbe alle roccaforti del Nord (Lombardia, Veneto in primis) più ampio spazio di manovra su ben 23 materie, lasciando il Sud a dibattersi nel buio delle stesse 23.

 

“Facciamo presto, ché dobbiamo mettere sotto scacco Giorgia” ho sentito due deputati mormorare alla buvette di Montecitorio sorseggiando un caffè.

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