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La manovra finanziaria varata ieri dal governo Meloni non ha particolari virtualità politiche, distintive una destra per la prima volta al governo dell’Italia repubblicana.

 

Perché percorre stancamente un tracciato obbligato, quasi fotocopia dei documenti contabili dei predecessori: in larga misura contrassegnati da una spesa corrente e di investimento che procede quasi in modo inerziale.

Chi si aspettava una rivoluzione portando la destra al governo non potrà che rimanere profondamente deluso.

 

Una novità però c’è: dal 2024 verrà abolito l’istituto del Reddito di cittadinanza, quella bandiera che il M5S dispiegò con urla e strepitíi da stadio dal balcone di Palazzo Chigi.

Una misura-simbolo che approvò anche Salvini anche se fa finta oggi di aver perso la memoria.

 

Giorgia così porta a casa un indubbio effetto mediatico, che però pone Giuseppe Conte di fronte alla propria coscienza.

 

Perché un elettore M5S dovrebbe chiedergli che senso abbia avuto il togliere la fiducia a Draghi per incassare oggi uno sfregio senza precedenti.

In più abbinato alle strade spianate alla destra: prima a livello nazionale, prossimamente ai livelli regionali del Lazio e nella Lombardia.

Perché la norma maggioritaria non concede scampo alle forze che si presentano divise.

 

Così i circa 35 miliardi che la manovra ha stanziato irrigano gli stessi rivoli di spese correnti e di investimento che si perpetuano da decenni, non contenendo quelle novità che pure il popolo -votando a destra- reclamava a gran voce.

Ogniqualvolta Giorgia ha dovuto opzionare, poi, lo ha fatto con gradualità; lo stesso RdC infatti permarrà per 8 mesi nel 2023.

Idem per i bonus edilizi, per i tracciati previdenziali e pure per la rottamazione di talune cartelle esattoriali.

In materia di lavoro il governo di destra non ha di certo favorito le classi più deboli: preferendo ad esse il ceto medio e i cd. “furbetti” (evasori fiscali e chi è stato sanzionato per scarso rispetto delle regole civiche).

 

Non ha neanche accontentato i propri azionisti di maggioranza: Salvini e Berlusconi infatti si sono ritrovati con il classico “pugno di mosche” in mano: sia per quanto attiene la riforma pensionistica Fornero che per l’attenuata pressione fiscale.

Non ci saranno poi né azzeramento dell’IVA sul pane e sul latte, né una flat tax generalizzata (ma solo tra i 65-85000 €); saranno destinati 21 miliardi -sotto forma di credito d’imposta- contro il rincaro delle bollette.

 

Una manovra di spessore ragioneristico?

Una manovra di stampo democristiano?

Quel che è certo è che la rivoluzione annunciata rimarrà una chimera.

 

Per la gioia di quelli che…”cambiamo tutto noi”!

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