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Due semplici domandine dovrebbe porsi l’elettore di fronte alla scheda elettorale.

 

LA PRIMA: voglio che l’Italia rimanga in Europa?

 

È stato un percorso lungo oltre mezzo secolo, complicato e complesso, quello che ha portato il nostro Paese (che pure portò su di sè responsabilità sovraniste ben più ampie, ma quella era la storia dell’Impero romano, ndr) a proporre e costruire un consorzio di nazioni più ampio, di quasi uguali.

Chè hanno tenuto sì le proprie regole nazionali, ma che hanno devoluto alcuni poteri a un soggetto prevalente.

Quelli economico-monetari ad esempio.

C’è ancora molto da fare è vero, ma non pare esservi più dubbio alcuno sul fatto che che non saremmo mai stati in grado di fronteggiare le poderose folate di vento subite conducendo da soli nostra piccola barca a vela per il mare in tempesta.

Perchè i poblemi economici globali richiederanno sempre un soggetto ben più nerboruto della vecchia £iretta e dell’Italia.

 

LA SECONDA: vogliamo davvero vivere in una Repubblica Presidenziale?

 

Che è l’esatto opposto di quella che i nostri Padri Costituenti edificarono dopo la seconda guerra mondiale: che fu essa stessa pure figlia di sovranismi estremisti (di destra, ndr)?

Quella presidenziale, badiamoci bene, è il contrario della Repubblica in cui siamo vissuti sino ad ora.

Essa è stata originata da un sapiente dosaggio di poteri e competenze: sì da non far prevalere un soggetto sugli altri.

Il Legislativo, l’Esecutivo e il Giudiziario si sono presi carico di una nazione suddivisa poi -a sua volta- in Regioni, Province, Comuni e (ora) Città Metropolitane.

 

Tutto si tiene e non pare proprio possibile togliere due mattoni di tale spessore dalla costruzione senza correre il rischio di farla franare proprio tutta.

Di più: in uno dei momenti più difficili della nostra storia economica.

 

Aggiungere problemi ai problemi non è mai parsa una buona soluzione, occupiamoci più sensatamente di bollette e di disoccupazione.

 

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