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Alcuni ulteriori spunti di riflessione sulla manovra di bilancio del governo.

 

Le Entrate.

L’obiettivo deficit 2023 è stato elevato dal 3,9% di Draghi al 4,5% del PIL: una decina di miliardi in più.

Questa espansione, però, è solo apparente: essendo interamente dedicata all’aumento degli interessi sul debito.

Quindi il bilancio primario, di fatto, si riduce di quasi lo 0,5% rispetto a quello che era stato previsto da Draghi.

C’è un grande aumento del tasso di inflazione, però, che si mangia quasi tutto.

Quindi le Entrate -forse- saranno calanti in termini reali.

 

E veniamo alle Spese.

Non ci risulta esserci una grande levata di ingegno rispetto al passato: si va, in buona sintesi, con il “pilota automatico” e si ricalca l’impalcatura esistente.

 

È questa una grande delusione per il liberale che è in noi: manca la novità strutturale rispetto ai lustri passati.

 

In ordine al taglio dell’IVA sui beni di prima necessità: non è affatto detto che i prezzi debbano calare (posto che i benefici siano incassati dai commercianti e non già dallo Stato-idrovora).

Meglio sarebbe se si aumentassero i trasferimenti ai redditi più bassi: quelli che hanno sempre una più ampia propensione di spesa.

Taglio del cuneo fiscale: esso dipende da come viene fatto e su chi farlo gravare di più. L’idea di concentrare lo stesso sui lavoratori, in virtù di quanto testé detto, pare preferibile che sulle imprese.

Rottamazione Cartelle: perché aiutare chi ha di fatto “finta” di non capire (con le dovute eccezioni, è ovvio ndr) il senso delle precedenti rottamazioni?

Circa i 2/3 della manovra saranno poi concentrati sul taglio delle bollette: un

beneficio di 20 miliardi che durerà solo pochi mesi. Ci sono interi settori in cui esso non serve (il taglio delle accise sui carburanti non darà alcun beneficio alle famiglie, ndr).

 

 

Così in una situazione in cui pare certo che l’inflazione sarà sopra il 15% (forse 17% ndr) i tagli reali -a spese invariate- saranno già drastici di per sé.

Ecco perché parrebbe giusto concentrare gli sforzi in favore delle fasce più deboli e per quei servizi pubblici che hanno già dimostrato sul campo (sanità, assistenza agli ultimi e agli anziani, pubblica istruzione) la loro forte validità.

 

Evitando, se possibile, di colpire le fasce più deboli: l’idea di smantellare il reddito di cittadinanza -aumentando le forme di controllo sui non aventi diritto-, in questo quadro, non andrebbe proprio nella giusta dimensione.

 

Che fare con quei disoccupati (pare ormai certo si parli solo di loro, ndr) che non possono recarsi a decine di chilometri di distanza per prendere lavoro e che vivono accanto a noi?

Parliamone.

 

È bislacca l’idea di dotare tutte le Amministrazioni Comunali di fondi e competenze per occuparsi di loro?

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